Non credo ci sia più la necessità di sottolineare il mio apprezzamento per questo grande autore. Per chi fosse curioso di seguito i link delle precedenti recensioni: Il giorno della civetta, Todo Modo.
Con La scomparsa di Majorana Sciascia rinuncia alla forma romanzo per sperimentare quella del saggio, meglio ancora dell’inchiesta. La ricerca della verità inerente alla scomparsa del grande fisico siciliano permette in realtà a Sciascia una profonda riflessione sulla scienza.
Sciascia era un letterato, ovverosia un esperto di letteratura, la sua era una cultura di stampo umanistico molto lontana da quella di Majorana il quale rappresentava la massima avanguardia della fisica quantistica dell’epoca. Sciascia evita, giustamente, qualsiasi considerazione specifica sul lavoro dello scienziato e sceglie una strada a lui più congeniale: tenta d’interpretarne le azioni e i pensieri attraverso l’opera di un altro loro conterraneo, Luigi Pirandello. La fuga da sé stessi ma anche dalla vita, l’incapacità di riconoscersi e quindi quella di accettarsi, sono tematiche care al Nobel siciliano e che Sciascia riconosce nei turbamenti di Majorana. Nelle pagine de La Scomparsa ritroviamo così numerosi parallelismi tra lo scienziato e Mattia Pascal/Adriano Meis come anche quelli col Vitangelo Moscarda di Uno, Nessuno e Centomila.
È evidente l’enorme ammirazione che Sciascia nutre nei confronti di Ettore Majorana tanto da erigerlo a campione della scienza, quell’idea di scienza pura quasi platonica che non è corrotta dalla più terrena tecnologia. Il tema più caldo del libro è quello relativo alle implicazioni morali sull’utilizzo della Bomba Atomica durante la Seconda Guerra Mondiale, qui le riflessioni di Sciascia si fanno più profonde e angosciose. Era necessaria la bomba? Con Hiroshima e Nagasaki le democrazie occidentali hanno perso la loro innocenza? E’ stata persa inevitabilmente l’occasione per essere dalla parte giusta della storia, decretando non tanto una vittoria quanto un triste e lugubre pareggio? Domande scomode queste poste dall’autore sui cui credo valga la pena interrogarsi, almeno una volta nella vita. Sciascia continua poi con un “j’accuse” più preciso, più diretto: perché i fisici non si sono rifiutati di lavorare al progetto Manhattan? Come hanno potuto infangare la nobiltà della scienza con un atto così meschino? E’ in questo discorso che Sciascia fa ergere la figura di Majorana, lui che non ha mai dovuto veramente apprendere la scienza perché gli è sempre stato naturale come il respiro, non può fare a meno di sottrarsi al tradimento verso cui gli altri scienziati stanno andando incontro; la contrapposizione concreta è quella con Enrico Fermi a cui l’autore non risparmia critiche.
L’affascinante tesi finale è figlia, tanto delle considerazioni sulla corruzione morale della scienza, quanto su quelle della fuga di stampo pirandelliano.
Majorana aveva certamente dei grossi problemi comportamentali e una personalità complicata. Per quanto indiscusso genio, faccio fatica a credere al presupposto, senza il quale tutta l’ipotesi Sciascia decade, secondo cui sarebbe stato in grado di intuire, in anticipo su chiunque altro, le terribili implicazioni della fissione nucleare. Tendo a fidarmi maggiormente di uno scienziato come Edoardo Amaldi che, quando interrogato su questa eventualità, non esitò ad escluderla categoricamente.
A mio parere il libro va preso come un incredibile, suggestivo e profondissimo mockumentary, il cui valore non risiede nella supposta o meno veridicità storica.